PRESENTAZIONE DEL LIBRO
AD ALESSANO
28.12.19
La dottoressa Rosanna Savoia, presentando il libro tra l’atro ha detto: il libro che questa sera ho il piacere di presentare si compone di tre capitoli. Nel primo, ci viene presentato il contesto socio-politico in cui i frati svolsero la loro opera di evangelizzazione per circa settant’anni: dall’azione evangelizzatrice dei primi cappuccini arrivati in Mozambico nel 1951 a quella degli altri che seguirono nei decenni successivi, durante i quali il popolo mozambicano fu travolto da tragici avvenimenti. E’ la storia di un’azione missionaria, cristiana e umana, in cui essi hanno messo da parte le proprie certezze lasciandosi “rifare” da una cultura “altra” e dal modo di essere dei fratelli mozambicani, che vivevano una religione naturale, nella quale i frati si impegnarono a ricercare le orme che Dio, nel suo passaggio, aveva lasciato.
Nel secondo capitolo, p. Francesco tratteggia la storia dei missionari cappuccini pugliesi a partire dal XVI secolo in varie parti del mondo, e si sofferma poi sulla storia del Mozambico, e soprattutto su quella della missione della Zambézia Inferiore e delle loro 8 presenze missionarie su questo territorio (Inhassunge, Morrumbala, Mopeia, Chinde, Luabo, Maputo, Quelimane e Nangololo). Certamente la parte più coinvolgente è il racconto dell’esperienza personale di alcuni missionari, ai quali p. Francesco “cede la parola”, riportando brani di alcuni loro documenti (lettere o cronache) ritrovati negli archivi delle varie missioni o in quello provinciale di Bari.
E così leggiamo le sensazioni di stupore e gioia ma anche di delusione e timore per il proprio futuro e di solitudine dei primi otto frati giunti in missione il 4 maggio 1951, e poi le sofferenze patite dai missionari durante la guerra civile, tra il 1978 e il 1986, quando decisero di non lasciare il Mozambico ma, “rifugiati tra rifugiati”, si radunarono nella casa dei Cappuccini di Quelimane e decisero che «non si poteva stare alla finestra e guardare un mondo umano che soffriva». E così uscirono dal convento per andare incontro alla sofferenza della gente, attraverso la realizzazione di alcune opere.
Nel terzo capitolo fra Francesco ci presenta la figura di alcuni frati missionari che, insieme ad altri, hanno lasciato un’impronta indelebile sulla terra mozambicana, ma, certamente, anche in lui. A parte quella di Prosperino Gallipoli, di cui vi ho già accennato all’inizio di questo mio intervento, sono tutte testimonianze che vengono pubblicate per la prima volta.
Camillo Campanella, suo compagno nel seminario e poi nella scelta missionaria, ucciso dai guerriglieri della Renamo nel 1989 insieme con Francesco Bortolotti e Oreste Saltori. Un «ricordo che ancora mi brucia l’anima», scrive p. Francesco, una dolorosa vicenda che solo ora, dopo quasi trent’anni, è riuscito a raccontare. E le pagine dedicate a questo avvenimento sono certamente le più forti di tutto il libro: veramente difficile leggere con distacco della sua corsa con lo scooter da Quelimane a Inhassunge, con il triste presentimento di una tragedia e con nel cuore i ricordi di una vita trascorsa insieme con Camillo, o dei tragici e concitati momenti in cui con Zaccaria scopre i corpi dei confratelli uccisi, con tutto quel che ne segue.
Prosperino Gallipoli, che diede una strutturazione sociale e religiosa, alla “nuova” evangelizzazione, che p. Francesco, insieme con Fedele Bartolomeo, andava sperimentando a Luabo, (altri in altre missioni... Zaccaria Donatelli, Camillo Campanella e Fortunato Simone). Un’evangelizzazione come risposta ai bisogni reali della gente, un’evangelizzazione inculturata e una promozione umana sorte “dal di dentro” delle stesse culture che si andavano evangelizzando.
Carlo Patano, un cappuccino d’altri tempi, il cui modo di evangelizzare con una vita dimessa e sacrificata, fatta di silenzio, preghiera e solitudine era noto a tutti i missionari della Zambézia, dove veniva indicato come “o santo”. Marcello Bavaro che, appartenente al primo gruppo di frati giunti in Mozambico nel 1951, racconta con estrema sensibilità la propria esperienza missionaria, interpretando i sentimenti di molti missionari.
Francisco Chimoio, frate cappuccino mozambicano, attuale arcivescovo di Maputo, che rivela la storia del suo sequestro, e poi rilascio, ad opera della Renamo nel 1982.
Il libro costituisce certamente un valido strumento per chi intende conoscere la storia della missione dei cappuccini di Puglia in Mozambico .... ma questo non è solo un libro di storia, nell’accezione comune del termine. Questo, come già accennato all’inizio, è anche, e soprattutto, il racconto del percorso spirituale compiuto da 40 frati che hanno lasciato la propria terra per portare la parola di Dio in terre lontanissime dalla loro, geograficamente e culturalmente.
E la trama su cui si tesse tutta questa storia è la vicenda personale di fra Francesco e così il racconto si intreccia con le sue emozioni, i suoi pensieri, i suoi ricordi. Appena 2 anni dopo l’ordinazione sacerdotale, egli decide con Camillo Campanella e Benito de Caro di chiedere di essere inviato in Mozambico.
Giunto in Mozambico nel 1971, incontra padre Carlo Patano, da lui conosciuto ad Alessano quando vi fu inviato giovanissimo novizio (bellissime le pagine in cui descrive questo frate cappuccino d’altri tempi e l’incontro avuto con lui proprio in questo convento!)
Nel febbraio del 1972, è inviato a Luabo, sua prima missione, dove comincia a entrare nella cultura della gente mozambicana.
Dopo pochi mesi, sente «il bisogno di compiere il gesto biblico di togliermi i sandali perché il luogo che calpestavo era sacro: pieno di Mulungu (Dio) e pieno di umunthu (umanità)» e riesce a entrare in tale empatia con la gente da essere da invitato a vivere con loro le usanze più intime, fino a pregare per la prima volta con loro durante un sacrificio sotto il grande albero di mango
Fra Francesco è in Mozambico anche quando il paese vive gli anni più difficili della sua storia, gli anni di piombo 1978-1992, gli anni in cui aumentano gli attriti tra governo locale e missionari.
In questo difficile periodo, i frati, che non sono più liberi di annunciare il Vangelo, devono cercare nuove forme di presenza tra la gente.
P. Francesco si occupa delle saline fondate da Camillo, per perpetuarne il ricordo, e dell’animazione delle comunità cristiane nei campi che ospitavano i profughi, che egli visitava con voli di fortuna distribuendo gli aiuti che giungevano dall’Italia attraverso il segretariato delle missioni guidato da padre Benito De Caro.
«In tutti questi anni – scrive p. Francesco - ho visto la sofferenza della gente e ho vissuto le sue stesse paure. Abbiamo ripensato insieme come essere cristiani anche in situazioni così disperate, sempre sotto minaccia della guerra, dei militari e dei guerriglieri, affamati anche loro. Non poteva morire il senso cristiano della vita che, come lampada in una notte oscura, doveva splendere nella notte del cuore degli uomini e della storia di una umanità dilaniata».
Nel 1992 gli viene affidata la missione di Nangololo, tra il popolo makonde, “un popolo strano e meraviglioso” che lo segna nel profondo “una grande boccata di ossigeno, un forte colpo d’ala alla speranza”, scrive. Qui si realizza un sogno lungamente accarezzato: l’arrivo di laici nella missione. Sono molti gli episodi narrati da fra Francesco relativamente a questo periodo vissuto in quello che scherzosamente chiamava “paradiso perduto o ultimo paradiso...dietro l’ultimo baobab a destra”... dove resterà fino al 1998, quando rientrò in Italia.
Mi piace terminare ricorrendo a quanto scritto da fra Francesco a conclusione di questo suo libro, in cui ringrazia tutti i frati missionari cappuccini di Puglia, che hanno offerto la propria vita “per inserirsi in un mondo totalmente altro” e Dio Padre per il dono e la grazia della missione.