IL GRANDE VIAGGIO (6)
... I PENSIERI  DEL  RITORNO

Il  25 luglio 2017 l’aereo da Maputo mi riporta a Lisbona. Il viaggio è lungo. In aereo non dormo mai. Scelgo sempre il posto al finestrino. Mi piace guardare lo scorrere della terra sotto di me. Ripercorro tutta la “madre” Africa da sud a nord: dal deserto del Kalahari tra il Sud Africa, Namibia e Botswana, alle dighe di Kariba e Cabora Basa che imbrigliano “papà” Zambesi,  alle grandi le grandi foreste nel cuore dell’Africa fino al deserto del Sahara…

Poi le coste del nord Africa, si attraversa tutto in Mediterraneo, i primi lembi della terra europea tra Spagna e Portogallo e finalmente Lisbona. Tra uno sguardo e l’altro verso lo scorrere della terra ritorno col pensiero a questo grande pellegrinaggio penitenziale e di rendimento di grazie, a questo ritorno al passato come un immenso senso di gratitudine al Signore per quanto mi ha consesso di vivere nei miei 28 anni in Mozambico e i 50 anni di sacerdozio.

A Lisbona mi attende Rosa Maria Alves Pereira. Una laica consacrata. L’avevo conosciuta appena arrivato a Luabo nel 1970, la mia prima missione. Lei dirigeva il Collegio San Francesco d’Assisi, una scuola secondaria della missione, costruita da P. Atanasio Minervini. Mi chiese subito di insegnare. Le dissi che io non ero fatto per essere professore. Insistette e per non dire di no, mi cimentai con l’insegnamento. Bastò solo un mese. E chiusi una odiosa parentesi.

Misi una nota in condotta a tutta la scolaresca: erano solo una quindicina di mocciosi! Ma io non riuscivo a dominarli. Poi corsi da lei, Rosa Maria, la direttrice chiedendole il favore di cancellare la nota in condotta e cancellare anche me dall’albo dei docenti! Cominciamo bene, mi disse! Tre o quattro mesi dopo, quando cominciai a inserirmi nell’azione pastorale, non disponendo di altri spazi, andai a chiederle l’uso del salone della scuola perché una ottantina di ragazze e ragazzi, quasi tutti alunni del collegio, volevano cominciare la catechesi del catecumenato per prepararsi alla celebrazione del battesimo.

Dopo qualche tempo mi disse che durante l’ora della catechesi veniva a “spiarmi” per capire come me la cavavo… e si meravigliava che non ero stato capace di sopportare per 50 minuti 15 ragazzi a scuola, ma 80 di loro me li portavo avanti tranquillamente per più di due ore! Dopo 3 anni di catechesi quasi tutti loro furono battezzati. E fu festa!

Ma la cosa più importante che Rosa Maria, questa piccola grande donna laureata in fisica e matematica,  fu di accettare di fare una riforma radicale dello statuto della scuola. Il Collegio realmente apparteneva alla Missione, ma per statuto vi potevano accedere solo i figli dei sottoscrittori che ne avevano finanziato la costruzione, e i figli degli impiegati della grande impresa Sena Sugar. Essendosi sfaldato il consiglio di amministrazione, lei, coraggiosamente, insieme al superiore della missione ne presero la gestione. Fu così possibile aprire l’accesso a tutti i giovani di qualunque provenienza. Fu così che il Collegio divenne multirazziale. Fu così che gli alunni del Collegio raddoppiarono e divenne una scuola per tutti. Cosa non facile, anzi pericolosa, per una donna di nazionalità portoghese e per uno straniero come me. Era il 1974, ancora in pieno regime coloniale.     

Stando a Lisbona chiesi a Rosa Maria di accompagnarmi alla chiesa del Lumiar (nelle foto), dove avevo esercitato il ministero di vice-parroco. Ero arrivato in parrocchia dopo qualche mese di studio della lingua portoghese. Le lezioni a fra Camillo, fra Benito, fra Mariano, fra Deodato e fra Fedele tutti giovani frati destinati in Mozambico e in Angola, ce le impartiva amorevolmente la dottoressa e speciale amica Maria Helena Teixeira Martins (nella foto sotto con la fraternità insieme a P. Gioacchino e fra Giuseppe).

Maria Helena, sono andato a trovarla in casa. Ha una salute malferma. Ma come 50 anni fa, forte e volitiva. Vederla … emozioni che bruciano gli occhi! 
Ma io sentivo un bisogno forte di conoscere la cultura, la gente e il popolo che ci ospitava. Dall’ottavo piano del palazzo dove vivevamo in via Figueiredo, si vedeva solo il panorama. I giri turistici per Lisbona e dintorni mi dava una conoscenza superficiale! Solo calandomi fra la gente avrei potuto assaporare la cultura di questo popolo che sarebbe stato il mio popolo di appartenenza. Cosa fare? L’esperienza del prete operaio mi affascinava!   

Chiesi ed ottenni di lavorare, dopo aver superato le prove attitudinali, in una fabbrica di vetro a Venda Nova, un sobborgo di Lisbona. Era fantasia pura alzarmi la mattina alle cinque, mezz’ora di preghiera, colazione, prendere due mezzi, timbrare il cartellino alle 7,30 e tornare a casa alle 18,00. Ma le cose belle durano poco! Alla fine del mese l’impresario mi pagò il mensile e, per ordine del ministero del lavoro, mi licenziò, suo malgrado, essendo straniero. Ma fu un mese bellissimo… ebbi l’opportunità di calarmi nell’area più popolare della gente portoghese: gente viva, ottimista, ironica, gioviale, tutto in linguaggio semplice, colorito, “calão”… ben lontano da quello classico che avevo studiato.

Visto che il “popolo di Dio” mi aveva licenziato… ritornai alla casa del “Padre”! Il cardinale Cerejeira  mi mandò come vice parroco alla parrocchia di São João Baptista del Lumiar.
Del parroco serbo in cuore un carissimo ricordo. Padre Rui de Melo era un signore di modi e di fatto. Figlio di una contessa e di un alto funzionario del ministero della difesa, aveva un tratto squisito. Mi accompagnò e mi inserì amorevolmente nella parrocchia. Ebbi modo di conoscere l’alta società portoghese (il Lumiar era una zona residenziale delle grandi famiglie lisboete), ma anche e specialmente la gente semplice a cui padre Rui dava una grande attenzione.

In poco tempo mi insegnò il “mestiere” del parroco in Portogallo, mi riferisco all’aspetto burocratico (del resto non conoscevo neppure come si faceva il parroco in Italia),  e mi affidò la parrocchia. Mi sentivo bene!
Quando varcammo la soglia della chiesa ero emozionato. Chiesi in ufficio del padre Rui… Era morto, lasciando di sé un grande ricordo! Una preghiera per lui!

Ebbi tempo per inginocchiarmi, baciare il pavimento di quella chiesa che mi aveva accolto per 6 mesi, e pregare. Avevo bisogno di fermarmi su questo posto di blocco da dove è partita la mia esperienza missionaria.
Poi venne il nuovo parroco. Un gesuita che gentilmente ci accompagnò a visitare la chiesa e le sue ricchezze religiose e artistiche
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COIMBRA:   L’ARTISTICA  CITTÁ   UNIVERSITARIA

Visitando l’università di Coimbra e il convento dei  Canonici  agostiniani, dove sant’Antonio da Lisbona (e non di Padova, sottolineò Rosa Maria!) visse la prima parte della sua vita fino all’evento del martirio dei protomartiri francescani in Marocco che diede un nuovo  corso alla sua vita, Rosa Maria si ricordò di un proverbio mozambicano: mwendo ubodzi hunabvina gunthe tayu (con una sola gamba non si può danzare) per dire quanta gente ha dovuto lavorare insieme per realizzare le bellezze artistiche che stavamo visitando.

Ma questo richiamo ci rilanciò indietro, a Luabo a distanza di quattro decenni prima. Una esperienza esaltante di cui più che attori noi ci sentivamo semplicemente testimoni di quanto Dio operava sotto i nostri occhi.

I primi 6 mesi di “vagabondaggio” culturale e spirituale ci introdussero in un mondo ricco e sconosciuto, semplice e coordinato, complesso e sistemato. Imparammo a parlare meglio la lingua Chisena e le nostre guide ci fecero “vedere” i nodi culturali più sensibili da cui dipendeva tutto il sistema religioso, sociale e politico di un popolo che noi “extra-nei” giudicavamo “un senza-senso”!

Ci sembrava di ascoltare anche noi il monito di Yahvè a Mosé: “togliti i sandali perché la terra che calpesti e sacra!” La preghiera e la meditazione su quanto ci dicevano e ci mostravano ci faceva capire che il mondo in cui ci muovevamo era un sistema organizzato, pieno di Dio, pieno di sacralità.

Ci introdussero in un delicato sistema religioso dove Mulungu-Dio, il Munthu-uomo e gliMidzimu-spiriti, pur rimanendo ognuno nella sua sfera, tutti interagivano in rapporto vivo, dinamico e reciproco. Certo… non capivamo tutto, ma avvertivamo che stavamo entrando in santuario vivo nel quale bisognava sedersi e meditare.
Sì! Veramente Dio era passato anche su questa terra. L'Invisibile, aveva camminato con questo popolo, aveva seminato anche qui i suoi Semina-Verbi.

Era necessario davvero togliersi i nostri rumorosi scarponi culturali, usare piuttosto il pennello del restauratore e non il fragore di un caterpillar per non rompere gli equilibri e le ricchezze culturali e religiose del popolo Sena… quasi una fragile e tenue ragnatela che potevamo distrattamente squarciare senza farci del male ma distruggendo un dono che Dio aveva fatto a questo popolo.

Il popolo Sena, come tutti i popoli di cultura orale, non aveva costruito cattedrali e castelli di pietra (come quelli che stavamo ammirando. Bellissimi, del resto, patrimoni dell’umanità!), aveva però strutturato un altro patrimonio dell’umanità con materiali umani trasmessi da padre in figlio in seno ad una cultura orale. Non aveva creato le grandi sinfonie eseguite con i nostri strumenti musicali che gratificano il cuore, ma con il Ngoma-tamburro, la Varima-xilofono e la Malimba-xilofono munito di risuonatori, fanno battere il cuore e vibrare l’anima!

L’ azulejo (ceramica in azzurro propria dell’artigianato portoghese) del chiostro del convento dei canonici agostiniani ci trasferisce in nel mondo cristiano e francescano. “Qui giacciono le ossa dei santi cinque martiri uccisi in Marocco”.

Conosciuto l’evento S. Francesco d’Assisi esclamò: “ora so di avere 5 veri frati minori!”. Sant’Antonio da Lisbona, viste le loro spoglie mortali lasciò l’ordine dei Canonici di sant'Agostino e passò tra i figli di Francesco d’Assisi.

Bellissimo il reliquiario conservato nel convento agostiniano.

Il maestoso coro ligneo del convento…

Non potevo non sedermi sullo scanno tradizionalmente detto di sant’Antonio … il grande annunziatore del Vangelo nell’Europa del 13° secolo.

FATIMA:  LA  CITTÁ  DI  MARIA

Qui 46 anni fa (nel 1971) avevo consacrato alla Madonna tutto il tempo e tutto quanto mi sarebbe stato dato di vivere in Mozambico. Non vi ero più ritornato. La devozione mariana del popolo portoghese ha rinnovato ogni cosa. Tutto veramente bello in onore della santa vergine Maria Madre di Dio.

Il grande rosario appoggiato elegantemente a due colonne nella grande piazza mi richiama un’immagine che si è stampata dentro di me. Mi riporta a Nangololo la mia ultima missione. In una delle prime assemblee parrocchiali la gente mi raccontava come avevano superato del prove della guerra e la persecuzione della loro fede. Ad un tratto, molte donne di scatto in piedi a braccia levate con brandelli di rosario in mano gridano in coro: Ecco con che cosa abbiamo vinto la battaglia della nostra fede!

A Fatima volevo chiudere il mio “grande viaggio penitenziale e di ringraziamento al Signore”. Ho lodato e benedetto il Signore della mia vita per tutto quello che giorno per giorno mi ha suggerito nel cuore per orientarmi in mondo sconosciuto tra due popoli che pian piano mi sono entrati nell’anima, perchè mi hanno preso per mano, mi hanno insegnato la loro lingua, mi hanno fatto gustare i loro sapori, mi hanno condotto nei “siti” sacri della loro cultura, dei loro valori e della loro religiosità.

Considero questo ritorno al passato come una rivisitazione dei luoghi in cui il Signore mi si è manifestato luminosamente attraverso due popoli con cui ho condiviso la mia fede nel Signore Gesù, la più bella e più vera celebrazione del 50° sacerdotale.

Grazie, Signore Gesù! Ndinakuchita takhuta! Asante sana! Kanimambo! Obrigado!
fra francesco monticchio